Registro dei provvedimenti
n. 400 del 6 ottobre 2016
IL GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI
NELLA riunione odierna, alla presenza del dott. Antonello Soro, presidente, della dott.ssa Augusta Iannini, vicepresidente, della prof.ssa Licia Califano, della dott.ssa Giovanna Bianchi Clerici, componenti e del dott. Giuseppe Busia, segretario generale;
VISTO il ricorso presentato il 16 maggio 2016 con il quale XY, rappresentato e difeso dall'avv. Grazia Volo, ribadendo le istanze già avanzate a Google ai sensi dell'art. 7 del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 "Codice in materia di protezione dei dati personali" (di seguito "Codice") con tre distinti interpelli preventivi, ha chiesto:
- la rimozione di una serie di Url che vengono restituiti come risultati di ricerca digitando il proprio nome e cognome e che rimandano ad una vicenda giudiziaria in cui lo stesso è rimasto coinvolto, insieme ad altri soggetti, circa dieci anni orsono, vicenda che si è conclusa, "nei suoi confronti, con sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti ex art. 444 c.p.p., passata in giudicato, con pena interamente coperta da indulto ai sensi della L. 241/06";
- la refusione delle spese del presente procedimento;
CONSIDERATO che il ricorrente ha in particolare rappresentato: a) il lungo lasso di tempo trascorso dai fatti in questione; b) l'assenza di uno specifico ed attuale interesse pubblico alla conoscenza delle notizie, essendo egli un privato cittadino attualmente privo di alcun ruolo pubblico; c) il danno all'immagine, alla riservatezza e alla vita privata e lavorativa subiti in ragione della permanenza degli Url in questione fra i risultati di ricerca prodotti dal motore di ricerca Google in relazione al proprio nominativo;
DATO ATTO che, in ordine all'assenza della qualità di personaggio pubblico in capo al ricorrente, quest'ultimo ha in particolare rappresentato di essersi dimesso "da ogni carica pubblica prima della definizione del giudizio (era Consigliere comunale del Comune di KW)" e di non aver più ricoperto da allora "ruoli politici od incarichi pubblici", svolgendo la propria attuale professione nel settore immobiliare privato;
VISTI gli ulteriori atti d'ufficio e, in particolare, la nota del 31 maggio 2016 con la quale questa Autorità, ai sensi dell'art. 149, comma 1, del Codice, ha invitato il titolare del trattamento a fornire riscontro alle richieste dell'interessato, nonché la nota del 7 luglio 2016 con cui è stata disposta, ai sensi dell'art. 149, comma 7, del medesimo Codice, la proroga del termine per la decisione sul ricorso;
VISTA la nota dell'8 giugno 2016 con la quale Google ha comunicato di aver deciso di non rimuovere gli Url indicati nel ricorso dai risultati di ricerca indicizzati dal motore di ricerca in relazione al nominativo dell'interessato, precisando tuttavia che allo stato non vengono più indicizzati tre degli Url indicati nell'atto introduttivo:
VISTA la memoria del 10 giugno 2016 con la quale il ricorrente si è dichiarato insoddisfatto del riscontro ricevuto ed ha ribadito le richieste avanzate con il ricorso;
VISTA la memoria trasmessa in data 10 giugno 2016 da Google, rappresentata e difesa dagli avv. Massimiliano Masnada e Marco Berliri, con la quale la società resistente ha rappresentato che non sarebbero sussistenti i presupposti indicati nella sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea pronunciata il 13 maggio 2014 nella causa C-131/12, (c.d. "sentenza Costeja"), per l'esercizio del diritto all'oblio, considerato in particolare che:
- mancherebbe il presupposto fondamentale per poter invocare il c.d. "diritto all'oblio", vale a dire il trascorrere del tempo, atteso che, nonostante i fatti oggetto di cronaca risalgano al 2006, la sentenza di "patteggiamento" che ha definito in via conclusiva la vicenda giudiziaria a carico del ricorrente è stata emessa solo nel 2012 (portando a sostegno di tali argomentazioni due pronunce emesse dal Tribunale di Milano, la sentenza 17 maggio 2016, n. 5640 e la sentenza 31 maggio 2016, n. 5813);
- nonostante il decorso del tempo dall'accadimento dei fatti, sussiste il preponderante interesse pubblico al reperimento di notizie relative a reati particolarmente gravi, quali quelli commessi dal ricorrente a danno della sanità regionale, atteso anche l'attuale interesse dei mezzi di comunicazione di massa e dell'opinione pubblica verso tutti i reati contro la pubblica amministrazione che rende le notizie in questione ancora attuali;
- come del resto riportato anche nelle Linee Guida adottate il 26 novembre 2014, dal Gruppo di lavoro "Articolo 29" (WP 225), il c.d. diritto all'oblio non sussisterebbe rispetto a "reati più gravi" quali sono i crimini di cui si è reso protagonista il ricorrente; e ciò, nonostante la pena a carico del ricorrente sia stata interamente condonata per effetto dell'indulto;
- la professione esercitata dal ricorrente nel settore immobiliare, sebbene, privato, assumerebbe rilievo ai fini dell'interesse pubblico alla conoscibilità delle notizie in questione, in ragione del ruolo assunto nella vita pubblica, anche per effetto della professione svolta e dell'albo professionale a cui è iscritto, e ciò allo scopo di tutelare il pubblico da eventuali condotte professionali improprie (le citate Linee Guida, tra i soggetti che ricoprono tale ruolo ha indicato, a titolo esemplificativo, "politici, alti funzionari pubblici, uomini di affari e professionisti (iscritti in albi)";
- gli URL di cui il ricorrente chiede la rimozione rinviano a contenuti storici e giornalistici pubblicati su importanti organi di stampa nazionali, nonché sul sito istituzionale ZZ;
- la lesività delle notizie non rileverebbe ai fini del riconoscimento del diritto all'oblio in capo al ricorrente, ed in ogni caso Google, che come motore di ricerca opera quale "caching provider". ai sensi dell'art. 15 del D.Lgs. 70/2003, non è in alcun modo responsabile dei contenuti della pagine web indicizzate sulle quali può intervenire solo in base ad una pronuncia dell'autorità competente;
PRESO ATTO che, nella memoria del 3 agosto 2016, il ricorrente, ribadendo le proprie richieste, in ordine all'assenza di un attuale interesse pubblico alla conoscenza delle notizie in questione, ha sostenuto che:
- le notizie che lo coinvolgono si riferiscono a fatti avvenuti nel 2006, quindi ben dieci orsono, in ordine ai quali è stata emessa nel 2012 una sentenza di "patteggiamento", passata in giudicato, con pena interamente condonata, mentre le pronunce giurisprudenziali richiamate da controparte hanno ad oggetto la richiesta di deindicizzazione di notizie relative a fatti più recenti e comunque ad indagini giudiziarie ancora in corso;
- le notizie in questione sarebbero irrilevanti rispetto alla professione attualmente svolta (immobiliarista nel settore privato) che non presenta alcun legame con le vicende giudiziarie che lo hanno coinvolto nel passato quando era componente della segreteria personale di un assessore;
- la lesività delle notizie di cui si chiede la deindicizzazione sarebbe indicata nelle stesse Linee Guida del Gruppo "Articolo 29" citate da controparte come "forte elemento in favore della deindicizzazione" (punto 8 delle Linee Guida);
RILEVATO, tutto ciò premesso, che alcuni Url rientranti fra quelli contestati nell'atto di ricorso e specificamente indicati dalla resistente nella nota dell'8 giugno 2016 non risultano attualmente più indicizzati da Google e ritenuto, pertanto, di dover dichiarare, con riguardo ad essi, non luogo a provvedere sul ricorso ai sensi dell'art. 149, comma 2, del Codice;
CONSIDERATO invece che, con riferimento alla richiesta di rimozione dei restanti Url contestati dal ricorrente, occorre procedere facendo riferimento ai criteri generali indicati per l'esercizio del diritto all'oblio contenuti nelle citate Linee Guida del Gruppo di lavoro "Articolo 29";
RILEVATO, in particolare, che elemento costitutivo del diritto all'oblio è il trascorrere del tempo rispetto al verificarsi dei fatti oggetto delle notizie rinvenibili attraverso l'interrogazione dei motori di ricerca e che, anche laddove sussista, tale elemento incontra tuttavia un limite quando le informazioni per le quali viene invocato risultino riferite a reati gravi dovendo le relative richieste di deindicizzazione essere valutate con minor favore dalle Autorità di protezione dei dati pur nel rispetto, comunque, di un'analisi caso per caso (punto 13, delle Linee Guida);
CONSIDERATO che, nonostante il decorso di un certo lasso di tempo dai fatti oggetto delle notizie di cui si chiede la deindicizzazione, la definizione della relativa vicenda giudiziaria a carico del ricorrente è effettivamente intervenuta solo in un'epoca recente, a seguito di una sentenza di "patteggiamento" pronunciata nel 2012;
RILEVATO che i fatti narrati negli articoli rinvenibili attraverso gli URL tuttora indicizzati dalla resistente riguardano crimini di particolare gravità, posto che si riferiscono al coinvolgimento del ricorrente, in associazione delittuosa con altri e con ruolo non da comprimario, in reati contro la Pubblica amministrazione, quali la corruzione e la truffa, perpetrati a danno della sanità regionale negli anni 2004-2006, mediante l'illecita sottrazione di ingenti risorse finanziarie pubbliche;
CONSIDERATO inoltre che tali Url rimandano ad articoli pubblicati fra il 2006 e il 2015 relativi ad una maxi inchiesta sulla corruzione a danno della sanità regionale;
RILEVATO che la relativa attualità di alcuni Url dimostra l'interesse ancora vivo ed attuale dell'opinione pubblica nei confronti degli scandali che hanno interessato la sanità regionale negli ultimi anni, anche in considerazione della grave situazione finanziaria in cui la stessa versa attualmente;
CONSIDERATO che le citate Linee Guida del Gruppo di Lavoro "Articolo 29", tra i criteri che devono essere considerati per la disamina delle richieste di deindicizzazione, prendono in considerazione la lesività del trattamento, solo laddove questo abbia un impatto sproporzionatamente negativo sull'interessato perché "il risultato di ricerca riguarda una condotta impropria di minima rilevanza o significato che non è più (o non è mai stata) oggetto di dibattito pubblico e se non vi è alcun interesse pubblico più generale alla disponibilità di tale informazione" (punto 8 delle Linee Guida);
CONSIDERATO conclusivamente che la particolare gravità dei reati contestati e il breve lasso di tempo (circa 4 anni) trascorso dalla loro definizione processuale dai fatti fanno ritenere prevalente l'interesse del pubblico ad accedere alle notizie in questione e che pertanto debba dichiararsi infondata la richiesta di rimozione degli Url indicati dal ricorrente e tuttora indicizzati da Google;
RITENUTO che sussistano giusti motivi per compensare fra le parti le spese del procedimento in ragione della specificità della vicenda;
VISTA la documentazione in atti;
VISTI gli artt. 145 e ss. del Codice;
VISTE le osservazioni dell'Ufficio formulate dal segretario generale ai sensi dell'art. 15 del regolamento del Garante n. 1/2000;
RELATORE la dott.ssa Augusta Iannini;
TUTTO CIÒ PREMESSO IL GARANTE:
a) dichiara non luogo a provvedere sul ricorso in ordine alla richiesta di rimozione degli Url indicati nell'atto di ricorso ed attualmente non più indicizzati dalla resistente;
b) dichiara infondato il ricorso volto ad ottenere la rimozione dei restanti Url indicati dal ricorrente nell'atto di ricorso;
c) dichiara compensate le spese fra le parti.
Ai sensi degli artt. 152 del Codice e 10 d.lgs. n. 150 del 2011, avverso il presente provvedimento può essere proposta opposizione all'autorità giudiziaria, con ricorso depositato al tribunale ordinario del luogo ove ha la residenza il titolare del trattamento dei dati, entro il termine di trenta giorni dalla data di comunicazione del provvedimento stesso, ovvero di sessanta giorni se il ricorrente risiede all'estero.
Roma, 6 ottobre 2016
IL PRESIDENTE
Soro
IL RELATORE
Iannini
IL SEGRETARIO GENERALE
Busia