Un'autorità pubblica non può diffondere dati sulla salute psichica se non è previsto dalla legge
La Corte europea dei diritti dell'uomo (sentenza 29 giugno 2006, Application n. 11901/02) si è pronunciata sulla legittimità della richiesta e dell'utilizzo di dati concernenti la salute psichica di un cittadino ucraino, nell'ambito di un processo nel quale lo stesso era parte. I giudici nazionali di primo grado (Corte del distretto di Desniansky), oltre ad aver ottenuto da un ospedale psichiatrico informazioni sulla salute mentale del ricorrente e sul relativo trattamento medico, ne avevano dato notizia, durante una udienza pubblica, alle parti del processo e ai presenti.
La Corte europea, sottolineando che i dettagli diffusi rappresentano dati relativi alla sfera privata dell'individuo, ha riconosciuto che il comportamento dei giudici nazionali aveva costituito un'ingerenza nella vita privata del ricorrente ai sensi dell'art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali del 1950. La Convenzione, che garantisce il diritto al rispetto della vita privata e familiare, proibisce ogni ingerenza di una autorità pubblica nell'esercizio di tale diritto "a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, per la pubblica sicurezza, per il benessere economico del paese, per la difesa dell'ordine e per la prevenzione dei reati, per la protezione della salute o della morale, o per la protezione dei diritti e delle libertà altrui".
Nel valutare se la condotta dei giudici nazionali dovesse ritenersi o meno "prevista dalla legge", la Corte europea ha ricordato come già la corte nazionale d'appello avesse concluso che il trattamento dei dati del ricorrente effettuato in primo grado aveva costituito una violazione della disciplina speciale sul trattamento di dati psichiatrici.
La Corte europea ha così giudicato "ridondante" la richiesta d'informazioni da parte dei giudici nazionali di primo grado, per l'irrilevanza delle stesse ai fini del procedimento giudiziario.
Fonte Garante Privacy